Ciao, sono Antonella e ho affrontato la malattia quando ho vinto la paura di volare. Ero terrorizzata quel giorno in cui avrei dovuto sottopormi alla mia prima biospia ossea. Ma a tormentarmi non erano il timore dell’ago, del dolore e della diagnosi, bensì l’angoscia per il volo Roma-New York che mi aspettava l’indomani. Fino ad allora avevo volato solo per brevi tratte, ma stavolta mi aspettavano otto ore di un viaggio che avevo accettato solo per amore. Ero così concentrata sulle paure che avrei dovuto vincere il giorno successivo, che mi sottoposi all’esame del tutto ignara di quello che avrebbe potuto rappresentare. Qualcuno mi consigliò di provare a restare sveglia con qualunque mezzo per “godermi la navigazione”, e non permettere che la paura di precipitare mi impedisse la straordinaria visione del mondo da sopra le nuvole. Per farlo avrei dovuto distrarmi. Così parlai con altri passeggeri in un inglese arrugginito, vidi un film in spagnolo con sottotitoli in francese, scelsi un menù tex mex, bevvi chardonnay californiano e, alla fine, riuscii a guardare con un’emozione mai provata, lo sconfinato blu dell’oceano sotto di noi. Aveva funzionato. La gioia per aver superato la paura mi portò a vivere un soggiorno spensierato e, al ritorno, mi recai all’appuntamento con la diagnosi ancora euforica.
Tumore raro al midollo osseo. Che vuoi che sia, ho superato un viaggio aereo di otto ore. L’ematologa che mi aveva appena comunicato la diagnosi, si complimentò per la mia reazione. Forse fu per questo che non mi risparmiò i dettagli sulla malattia. Avrebbe potuto non progredire per molti anni oppure sì. Avrei potuto non avere sintomi, o anche sì. Il farmaco in sperimentazione avrebbe potuto curare la malattia o forse no. Insomma, un viaggio dalla durata indeterminata e dalla destinazione ignota. Ho scelto di restare sveglia e come in quel giorno di dodici anni fa, di vincere la paura cercando impegni che un tempo avrei evitato. Oggi sono presidente dell’Associazione Italiana Pazienti con Malattie Mieloproliferative croniche e ho dovuto studiare, oltre all’inglese, altri linguaggi. Quello scientifico, per capire, almeno un po’, studi e ricerche, e quello che serve a comunicare fiducia ai tanti che, come me, vogliono sfidare la malattia. In questi anni tra molti di noi – pazienti, volontari, familiari – sono nate autentiche e preziose amicizie che coltiviamo anche lontano dai day hospital e dai convegni. Il farmaco risolutivo non è ancora stato trovato ma la ricerca è andata avanti e ha aiutato me e i miei tanti
Testimonianza di antonella Barone tratta dal calendario della’Associazione Lampada di aladino